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LEONI DA TASTIERA E PECORE DA CASERMA (parte I) Sulle offese via internet e social

Non so a voi, ma a me è capitato più volte di leggere su internet offese, dalle più leggere alle più pesanti, nei confronti di chi aveva espresso un pensiero in dissonanza dalle convinzioni o dai desideri dell’offensore.

Anzi, per dirla tutta, quando ho fatto notare a queste persone l’inopportunità e l’illiceità del loro comportamento, esse hanno ricambiato con insulti altrettanto pesanti, direttamente nei miei confronti.

Si tratta di un fenomeno tipico dei nostri tempi e legato alla diffusione dei mezzi di comunicazione di massa appartenenti alla sfera della rete. Oltre a notevoli vantaggi, ciò ha portato una sorta di democrazia “diretta” sui social, per cui ognuno è libero di esprimere immediatamente il proprio pensiero, senza filtro, spesso in modo inopportuno, con la percezione di anonimato e consequenziale impunità.

Vero.

Ma non sempre.

L’offesa in rete, sebbene più difficile da perseguire, resta un illecito, che può essere sanzionato qualora la persona offesa adotti le opportune iniziative.

A parte le rare occasioni in cui il fatto può costituire il reato di calunnia (quando si accusa falsamente qualcuno di aver compiuto un reato) punito dall’art. 368 c.p. o quello di atti persecutori (c.d. “stalking” art. 612 bis c.p., nel caso in cui le offese divengano sistematiche e si inquadrino in un processo volto a creare uno stato di paura nella vittima), solitamente l’offesa su internet sfocia o nell’ingiuria o nella diffamazione (Cass., Sez. V, 17 novembre 2000, n. 4741; Cass., sez. V, 28 ottobre 2011, n. 44126) e quando ciò si verifica si è in presenza di un’ipotesi aggravata della fattispecie base (Cass., Sez. V, 16 ottobre 2012, n. 44980).

Cosa s’intende per ingiuria?

Si tratta dell’offesa pronunciata direttamente verso la vittima (di cui si lede l’”onore o il decoro”), a prescindere dal fatto che possano essere presenti anche altre persone.

A parte i casi evidenti, vi sono zone grige in cui è più incerto determinare se si sia in presenza di una vera ingiuria o di una semplice scortesia; sarà compito del giudice stabilirlo, rapportando l’offesa all’ambito spazio-temporale nel quale è stata pronunciata (Cass. 30790/2014) e tenendo conto della sua obiettiva capacità offensiva e dei rapporti tra le parti ((Cass. 37301/2013).

Fino a poco tempo fa l’ingiuria era prevista come reato dall’art. 594 c.p., ma recentemente è stata fatta oggetto di depenalizzazione, per cui attualmente essa configura un illecito “solo” civile.

Quali conseguenze negative per l’offensore?

Una verso la collettività: la pena, che veniva comminata fin quando l’ingiuria era reato, è stata sostituita con una sanzione civile da pagare a favore dello Stato.

Un’altra verso il danneggiato: la persona offesa ha diritto al risarcimento del danno.

Per concretizzarle sarà necessario procedere ad una causa civile: a seconda del danno e del conseguente risarcimento richiesto, sarà competente il Giudice di Pace (fino a 5.000 euro) o il Tribunale (sopra i 5.000 euro).

1) Sanzione pecuniaria da versare alla Cassa delle Ammende: da 100 a 8.000 euro, in caso di offesa generica; se, invece, c’è l’attribuzione di un fatto determinato o commesso in presenza di più persone si passa alla sanzione da 200 a 12.000 euro.

L’importo concreto viene determinato sulla base delle seguenti variabili: gravità della violazione, reiterazione dell’illecito, arricchimento del soggetto responsabile, opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze dell’illecito, personalità dell’agente.

In caso, quindi, vi scappasse un’offesa, vi consiglierei da un lato di non ripeterla (evitando quindi la reiterazione) e dall’altro, soprattutto in caso di “rimostranze” da parte della persona offesa, di cercare di rimediare, intendendosi con ciò sia scuse dirette, sia quanto è opportuno per limitare al massimo le conseguenze (come ad es. la rapida cancellazione dell’offesa dalla rete, le scuse “postate”). In tal modo, oltre alla probabilità di venire perdonati, vi sarà quella, in caso di giudizio civile, di essere sanzionati in modo più lieve.

2) risarcimento dei danni alla persona offesa (e, con esso, delle spese processuali): si tratta normalmente del danno morale, ossia della sofferenza che l’offesa provoca alla vittima, quantificato in base alle circostanze del caso concreto tramite una valutazione equitativa (di buon senso) del giudice.

La sanzione civile è comminata d’ufficio dal giudice solo al termine del processo sempre che la domanda di risarcimento proposta dalla persona offesa venga accolta. Pertanto, in assenza di una citazione per il risarcimento del danno, il colpevole non subirà neanche la sanzione civile.

E se non pago?

Per quanto riguarda la sanzione pecuniaria procederà l’agenzia di riscossione a cui, a seconda dei momenti storici, lo Stato ha affidato tale compito (Equitalia, Agenzia delle Entrate e così via), notificando apposita cartella di pagamento e, se necessario, procedendo all’esecuzione forzata tramite pignoramento.

Per quanto concerne la condanna al risarcimento del danno, anche il danneggiato potrà procedere ad esecuzione forzata.

E se si tratta di un’offesa “di gruppo”?

Quando più persone concorrono in un illecito passibile di sanzione, ciascuna di esse soggiace alla sanzione pecuniaria civile per esso stabilita. In ogni caso, la sanzione ha carattere strettamente personale e, pertanto, l’obbligo di pagare la sanzione pecuniaria civile non si trasmette agli eredi.

Per quanto riguarda, invece, il risarcimento del danno, secondo l’art. 2055 c.c. vi è responsabilità solidale fra gli offensori, cioè la vittima può chiedere l’intero risarcimento a uno qualsiasi dei danneggianti. Chi avrà pagato, poi, potrà ottenere dagli altri il pagamento della propria quota. L’obbligazione risarcitoria, in caso di morte, si trasmette agli eredi come elemento passivo del patrimonio.

Cosa s’intende per diffamazione?

Si tratta dell’offesa alla dignità e reputazione altrui, in assenza della persona offesa ed in presenza, invece, di almeno altre due persone (terze, nel senso che non sono né gli offensori né gli offesi).

L’art. 595 c.p. prevede che tale reato possa compiersi anche mediante mezzi di pubblicità, fra cui viene annoverata la rete, in quanto idonea alla diffusione di notizie verso una pluralità indeterminata di soggetti.

Perchè si realizzi la diffamazione non necessariamente si devono indicare nome e cognome, basta che ci sia il riferimento a caratteristiche fisiche e non che rimandino inequivocabilmente ad una determinata persona e ne permettano l’identificazione.

Sebbene ordinariamente l’offesa venga portata tramite parole, questa non è l’unica modalità che può determinare l’integrazione del reato. Si pensi ad es. ad un’immagine evocativa di una condizione degradante o socialmente condannata.